Anche comprando una sola azione si è soci della società emittente, ma è plausibile che non si parteciperà attivamente alla vita sociale, presenziando alla riunione dei soci esprimendo il proprio voto.
La stragrande maggioranza degli investitori retail non compra azioni per esercitare il diritto di voto, ma perché sperano che il valore della società cresca in breve tempo e solo pochi considerano l’investimento per gli utili che saranno distribuiti.
In questo senso, bisogna sapere che c’è la possibilità di acquistare due tipologie di azioni: quella ordinaria, che incorpora tutti i classici diritti e doveri di un socio e quella di risparmio che limita i diritti di voto, ma offre una maggiore partecipazione agli utili rispetto alle azioni ordinarie, proprio perché si rinuncia alla partecipazione delle assemblee ordinarie e straordinarie.
Le azioni di risparmio sembrano essere quelle maggiormente appetibili per un investitore retail, che non vuole votare, ma vuole partecipare agli utili in maniera maggiorata rispetto agli azionisti ordinari.
Purtroppo, sono poche le società che optano per questa tipologia di azioni e nella Borsa Italiana ormai di interessante è rimasta solo la Telecom Risparmio dopo che nel 2018 Banca Intesa San Paolo ha convertito le azioni d risparmio in azioni ordinarie.
Per il resto ci sono piccole società che hanno ancora questa tipologie di azioni, ma sono poco scambiate e rimangono interessanti solo in ottica da cassettista.
Dal 2016 non è più possibile offrire azioni privilegiate per le società quotate in borsa italiana.
Comprare azioni significa anche ricevere parte degli utili con i dividendi che vengono staccati annualmente e che possono essere ben più remunerativi di un investimento obbligazionario.
Ora è importante sapere che non esistono solo le azioni italiane e che prendere in considerazione di investire all’estero non è affatto sbagliato.
Nella Borsa Italiana sono scambiati circa 2 miliardi al giorno di azioni, in una giornata senza notizie particolari e per avere un termine di paragone al New York Stock Exchange in una giornata tranquilla sono scambiati circa 200 miliardi di dollari.
Se vogliamo continuare con gli esempi per capire meglio la differenza tra Milano e New York, l’azienda più grande in Italia è Enel con circa 60 miliardi di capitalizzazione e pesa per il 10% del listino italiano, seconda è Eni con circa 50 miliardi (8/9% di capitalizzazione), in America Apple è stata la prima azione che ha superato i mille miliardi di capitalizzazione nel 2018.
In pratica, Apple da sola capitalizza di più di tutta la borsa italiana.
Con questi esempi sono si vuole sminuire l’Italia, ma dimostrare che investire all’estero deve essere il punto di partenza per due principali ragioni:
- la prima è che concentrando i propri investimenti solo in Italia, oltre a non applicare una corretta diversificazione, si rinuncia a cogliere le opportunità che i grandi colossi mondiali possono offrire, non solo a stelle e strisce, ma anche tedesche, francesi, cinesi, giapponesi, ecc. ecc.
- la seconda è che le aziende italiane sono molto legate al ciclo economico interno con poche multinazionali. Nello specifico il nostro listino ha gli energetici che pesano per il 17%, le banche, servizi bancari e assicurazioni per il 30%, petrolio e gas per il 12% e le industrie per il 13%;
quindi, se va bene il listino italiano di conseguenza va bene anche la mia vita, il mio lavoro, la mia banca. Perché concentrare anche i miei risparmi a questa correlazione.
Non è meglio investire al di fuori dei confini nazionali? Così se va male la Borsa Italiana e di conseguenza l’economia nazionale, se i risparmi sono investiti all’estero, possono compensare le paure di perdere il lavoro, le preoccupazioni per la banca, ecc.
Investire in multinazionali significa anche beneficiare della loro diversificazione interna, per cui, per esempio, se non fanno utili in Europa perché è in atto un rallentamento economico, possono farli in Asia dove c’è una forte crescita della domanda o in America o in Sud America o in Africa o in Cina.