I PIR –  Piani individuali di risparmio -, introdotti con Legge di Stabilità 2017, traggono ispirazione da modelli già esistenti all’estero.

I PIR sono OICR gestiti da una SGR del tutto simili a un Fondo Comune di Investimento, ma con regole molto precise di dove possono investire con l’obiettivo di stimolare l’investimento azionario nelle piccole / medie imprese italiane ed in quota anche nei fondi di Venture Capital – il 3,5% -.

Il primo anno, il 2017/18 hanno avuto un grande successo perché hanno un interessante vantaggio fiscale per chi li detiene almeno cinque anni, con l’esenzione del capital gain, ossia non si paga nessuna tassa su eventuali plusvalenze.
Questo aspetto ha obbligato il legislatore a imporre un tetto massimo di investimento per singolo investitore di 150 mila euro.

Nel 2019 c’è stata una frenata alla raccolta perché una particolarità dei PIR introdotta con la legge di bilancio 2018  è che devono investire il 3,5% in fondi italiani di Venture Capital e un 3,5% nel segmento AIM della Borsa Italiana.

Considerata la raccolta di oltre 20 miliardi nei primi due anni, i gestori si sono trovati in difficoltà a trovare Start Up dove investire il 3,5% e allo stesso tempo, il segmento AIM ha rischiato una bolla finanziaria perché la capitalizzazione delle aziende in questo segmento della Borsa Italiana è molto piccola e sono poche le aziende (poco più di 100) per cui i prezzi non rispecchiavano più il reale valore dell’azienda a causa dell’alta domanda da parte dei gestori dei Pir obbligati a investire in queste aziende.

Ora per il 2020 si sta valutando di apportare una modifica ai Pir per stimolare nuovamente la raccolta.