“Un uomo va giudicato dalle scelte. Non tanto da quelle giuste, ma da come è riuscito a venirne fuori da quelle sbagliate”.
(nickbiussy, Twitter)
Questo modulo è molto legato a quello successivo in cui si tratta della psicologia degli operatori, in quanto lo stop è l’azione che più ci coinvolge emotivamente.
Gli investitori sono avversi alle perdite, eppure quando perdono non sono propensi a chiudere la perdita e preferiscono attendere accettando probabili perdite maggiori, mentre quando guadagnano chiudono subito l’operazione:
ho chiuso una operazione con mille euro di guadagno e sono estremamente felice di averli messi al sicuro.
Questo processo mentale ha come origine la nostra incapacità di affrontare il problema statisticamente in maniera univoca tra guadagni e perdite.
Un esempio aiuta a capire meglio: in caso di una perdita dovremmo considerare che chiudere l’operazione in perdita è una operazione sicura, in cui decidiamo quanto siamo disposti a perdere, mentre rimanendo in posizione abbiamo buone probabilità di perdere una cifra maggiore.
Chiudere una operazione in guadagno troppo presto, solo perché si vuole mettere in cassaforte un profitto certo non prende in considerazione le probabilità che il profitto diventi più grande, rimanendo in posizione, come ci comporteremmo con una perdita che non si vuole monetizzare.
Il motivo per cui si è restii alle perdite, ed il motivo per cui raggiunta la perdita prefissata non si inserisce lo stop e lo si posiziona di volta in volta più in basso è insita nel nostro modo di elaborare la perdita.
Uno esperimento di Thaler elaborato appositamente su un campione di persone, ha dimostrato che inviando cinque multe consecutive di 50 dollari, il disagio emotivo di chi le ha ricevute è stato maggiore di chi invece ha ricevuto una unica multa di 250 dollari.
Questo significa, che quando analizziamo dove inserire lo stop, al momento dell’apertura della posizione, prima ancora che questa si verifichi ha un valore emotivo inferiore rispetto al concretizzarsi della perdita un euro alla volta.
Questo è il motivo per cui raggiunto lo stop, la nostra emotività è più colpita di quanto non lo fosse al momento della pianificazione e di conseguenza si sposta lo stop sperando di cogliere il rimbalzo così da perdere meno.
Prendere una decisione quando come premio c’è una punizione nel caso fosse la decisione sbagliata è una di quelle situazioni che inducono gli individui a non prendere la decisione. Di conseguenza, quando si apre una posizione, l’obiettivo è sempre quello di guadagnare e si cancella la possibilità di perdere, perché la punizione pecuniaria è la principale motivazione per non prendere una decisione.
Va bene, ma se lo rompi paghi tu è il peggior monito che vorremmo non sentirci dire mai. Anche perché chiudere una posizione in perdita è una situazione che incide sulla nostra autostima e quindi sul nostro ego. Ecco perché spesso prima di capitalizzare una perdita si cerca di tenere duro, ci si convince della qualità dell’operazione, si leggono solo gli articoli che supportano la nostra decisione e mentre si è tifosi della propria posizione questa continua a sgretolarsi.
Vendere in perdita non è una perdita, ma parte del gioco, anche se il titolo dovesse ripartire, perché potremmo ricomprarlo e comunque con si soldi si possono comprare anche altri titoli che possono ripartire. Lo stop non deve creare alcuna forma di rammarico.
Bisogna sapere che quando si investe non c’è niente di garantito e bisogna sviluppare un’attitudine a ragionare in un’ottica di rischio/ricompensa.
Bisogna prendere una decisione di investimento identificando il rischio dell’operazione in termini di probabilità favorevoli e contrarie.
Bisogna saper sopportare l’evidenza di un errore e questo è possibile solo pianificandolo in anticipo, ponendo alla base della nostra operatività sia l’evoluzione futura del prezzo secondo le nostre aspettative, sia valutando come si evolverebbe il prezzo nel caso le nostre previsioni fossero sbagliate.